Come si formò il circolo dell’Espressionismo Astratto americano
In occasione dell’ampia retrospettiva dedicata a Conrad Marca-Relli abbiamo voluto ripercorrere le strade di Manhattan dove è nato l’Espressionismo Astratto americano Il 28 settembre scorso si è conclusa, alla Rotonda Besana di Milano, l’ampia retrospettiva dedicata a uno dei più importanti artisti di quello che fu definito il movimento dell’Espressionismo Astratto, un movimento che, nato a New York sul finire della seconda guerra mondiale, fu di tale impatto da spostare il polo dell’arte mondiale da Parigi alla grande mela. In verità si trattò di una corrente concettuale e stilistica molto sfaccettata, nella quale molti artisti non si vollero a posteriori riconoscere. In ogni caso, pur tenendo conto delle diverse ramificazioni e tendenze, il movimento può essere riconducibile ad alcuni comuni denominatori e a un percorso di ricerca orientato da simili ideali e obbiettivi. Ma prima di entrare nel merito forse è meglio tentare di capire quale fu il processo di genesi del movimento e quale contesto storico e culturale ne costituì le fondamenta. La definizione “espressionismo astratto”, è evidentemente la somma di due parole emblematiche, rappresentative di due correnti dei primi del novecento, l’espressionismo e l’astrattismo. Nucleo centrale di entrambi i movimenti fu il rifiuto della realtà, o meglio dell’idea di riprodurre il mondo reale in un’opera d’arte. In effetti la rivoluzione industriale, con la nascita della fotografia, aveva posto nuove sfide all’artista, per il quale ritrarre il reale era diventata un’operazione sterile, senza più nessuna cifra artistica. Se già a fine ottocento con l’Impressionismo si era cercato di riprodurre una realtà filtrata dalla percezione e dai sentimenti, ottenendo a volte quasi delle rappresentazioni oniriche dei soggetti ritratti, con l’Espressionismo Astratto, come poi fu ribadito nel manifesto del movimento pubblicato sul New York Times nel 1943, il problema della rappresentazione del reale diventa del tutto obsoleto: il nuovo imperativo è esprimere le proprie emozioni anche attraverso un rapporto più “fisico” con la tela. In molti casi l’uso tradizionale del pennello lascia spazio a tecniche più “casuali” e meno controllabili, secchiate di colore, sgocciolamenti, ma anche utilizzo delle mani e di tutto il corpo come veicoli di colore: l’action painting del celeberrimo Pollock. Figure e sfondi si ritrovano a dialogare a tutto campo, giocando in un eterno ribaltamento di ruoli. Volumi e prospettive perdono ragion d’essere: le figure geometriche e non, sono piatte, molto spesso macchie di colore prorompente. Tra centro della tela e bordi estremi non c’è più differenza, ogni angolo, ogni piccolo spazio può essere il fulcro dell’opera. E’ l’emozione a predominare, nulla da capire e nulla da spiegare, se non l’ineluttabilità del gesto pittorico, l’inevitabilità del cadere di una goccia di colore e del suo frantumarsi casuale sulla tela, quasi a incarnare il criptico disegno del divino. Molti vollero vedere in questa nuova corrente che rifiutava il realismo e con esso il materialismo incarnato nell’arte e nella letteratura russa , un nuovo manifesto culturale “sponsorizzato” dal neocapitalismo americano: più vicino al sogno che alla realtà. In effetti, non è del tutto assurdo cercare un parallelismo di questo tipo, visto che la CIA organizzò e finanziò, dietro il paravento di donazioni private e associazioni filantropiche, la promozione degli artisti americani aderenti all’Espressionismo Astratto dal 1950 al 1967, come ha recentemente riportato Frances Saunders, con dovizia di documenti e particolari, nel libro shock “La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti.” Sponsor a parte, il fermento culturale e artistico di quegli anni a Manhattan fu qualcosa di travolgente, paragonabile, con le dovute differenze d’epoca e di contesto, a quanto accadde mezzo secolo prima a Parigi. In pochi anni artisti ormai leggendari, del calibro di Rothko, Pollock, Motherwell, Gottlieb, Marca-Relli, De Kooning, Kline, Resnick, aprirono studi a poca distanza gli uni dagli altri, per confrontarsi, per sommare conoscenze e riflessioni, per discutere. Molte volte le discussioni si protraevano fino a notte inoltrata presso la Cedar Street Tavern, dove una notte dell’inverno del ’49, tra una bevuta e l’altra nacque, l’idea di formare il Club of Eight Street. Ci si trovava ogni mercoledì sera, ammessi solo artisti, eccezion fatta per un giovane italiano dell’alta borghesia triestina, Leo Castelli. Era arrivato da poco a New York, ma lavorava già per la nota galleria di Sidney Janis. Raffinato, colto ed elegante, era riuscito a conquistare i “maledetti” dell’Eight Street, infondendo in loro la fiducia che, da lì a poco, li avrebbe portati ad affittare un locale espositivo al numero 60 della Nona Strada Est e ad organizzare la prima e vera mostra collettiva . L’inaugurazione fu il 21 maggio, la chiamarono il “Ninth Street Show”. Esposero quasi tutti gli artisti del Club e Leo seppe far arrivare la gente che contava: critici, collezionisti, noti intellettuali e rockstar. Un successo strepitoso. Era nato ufficialmente l’Espressionismo Astratto. Come si formò il circolo dell’Espressionismo Astratto americano In occasione dell’ampia retrospettiva dedicata a Conrad Marca-Relli abbiamo voluto ripercorrere le strade di Manhattan dove è nato l’Espressionismo Astratto americano Il 28 settembre scorso si è conclusa, alla Rotonda Besana di Milano, l’ampia retrospettiva dedicata a uno dei più importanti artisti di quello che fu definito il movimento dell’Espressionismo Astratto, un movimento che, nato a New York sul finire della seconda guerra mondiale, fu di tale impatto da spostare il polo dell’arte mondiale da Parigi alla grande mela. In verità si trattò di una corrente concettuale e stilistica molto sfaccettata, nella quale molti artisti non si vollero a posteriori riconoscere. In ogni caso, pur tenendo conto delle diverse ramificazioni e tendenze, il movimento può essere riconducibile ad alcuni comuni denominatori e a un percorso di ricerca orientato da simili ideali e obbiettivi. Ma prima di entrare nel merito forse è meglio tentare di capire quale fu il processo di genesi del movimento e quale contesto storico e culturale ne costituì le fondamenta. La definizione “espressionismo astratto”, è evidentemente la somma di due parole emblematiche, rappresentative di due correnti dei primi del novecento, l’espressionismo e l’astrattismo. Nucleo centrale di entrambi i movimenti fu il rifiuto della realtà, o meglio dell’idea di riprodurre il mondo reale in un’opera d’arte. In effetti la rivoluzione industriale, con la nascita della fotografia, aveva posto nuove sfide all’artista, per il quale ritrarre il reale era diventata un’operazione sterile, senza più nessuna cifra artistica. Se già a fine ottocento con l’Impressionismo si era cercato di riprodurre una realtà filtrata dalla percezione e dai sentimenti, ottenendo a volte quasi delle rappresentazioni oniriche dei soggetti ritratti, con l’Espressionismo Astratto, come poi fu ribadito nel manifesto del movimento pubblicato sul New York Times nel 1943, il problema della rappresentazione del reale diventa del tutto obsoleto: il nuovo imperativo è esprimere le proprie emozioni anche attraverso un rapporto più “fisico” con la tela. In molti casi l’uso tradizionale del pennello lascia spazio a tecniche più “casuali” e meno controllabili, secchiate di colore, sgocciolamenti, ma anche utilizzo delle mani e di tutto il corpo come veicoli di colore: l’action painting del celeberrimo Pollock. Figure e sfondi si ritrovano a dialogare a tutto campo, giocando in un eterno ribaltamento di ruoli. Volumi e prospettive perdono ragion d’essere: le figure geometriche e non, sono piatte, molto spesso macchie di colore prorompente. Tra centro della tela e bordi estremi non c’è più differenza, ogni angolo, ogni piccolo spazio può essere il fulcro dell’opera. E’ l’emozione a predominare, nulla da capire e nulla da spiegare, se non l’ineluttabilità del gesto pittorico, l’inevitabilità del cadere di una goccia di colore e del suo frantumarsi casuale sulla tela, quasi a incarnare il criptico disegno del divino. Molti vollero vedere in questa nuova corrente che rifiutava il realismo e con esso il materialismo incarnato nell’arte e nella letteratura russa , un nuovo manifesto culturale “sponsorizzato” dal neocapitalismo americano: più vicino al sogno che alla realtà. In effetti, non è del tutto assurdo cercare un parallelismo di questo tipo, visto che la CIA organizzò e finanziò, dietro il paravento di donazioni private e associazioni filantropiche, la promozione degli artisti americani aderenti all’Espressionismo Astratto dal 1950 al 1967, come ha recentemente riportato Frances Saunders, con dovizia di documenti e particolari, nel libro shock “La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti.” Sponsor a parte, il fermento culturale e artistico di quegli anni a Manhattan fu qualcosa di travolgente, paragonabile, con le dovute differenze d’epoca e di contesto, a quanto accadde mezzo secolo prima a Parigi. In pochi anni artisti ormai leggendari, del calibro di Rothko, Pollock, Motherwell, Gottlieb, Marca-Relli, De Kooning, Kline, Resnick, aprirono studi a poca distanza gli uni dagli altri, per confrontarsi, per sommare conoscenze e riflessioni, per discutere. Molte volte le discussioni si protraevano fino a notte inoltrata presso la Cedar Street Tavern, dove una notte dell’inverno del ’49, tra una bevuta e l’altra nacque, l’idea di formare il Club of Eight Street. Ci si trovava ogni mercoledì sera, ammessi solo artisti, eccezion fatta per un giovane italiano dell’alta borghesia triestina, Leo Castelli. Era arrivato da poco a New York, ma lavorava già per la nota galleria di Sidney Janis. Raffinato, colto ed elegante, era riuscito a conquistare i “maledetti” dell’Eight Street, infondendo in loro la fiducia che, da lì a poco, li avrebbe portati ad affittare un locale espositivo al numero 60 della Nona Strada Est e ad organizzare la prima e vera mostra collettiva . L’inaugurazione fu il 21 maggio, la chiamarono il “Ninth Street Show”. Esposero quasi tutti gli artisti del Club e Leo seppe far arrivare la gente che contava: critici, collezionisti, noti intellettuali e rockstar. Un successo strepitoso. Era nato ufficialmente l’Espressionismo Astratto.
